Il tumore vescicale, volgarmente conosciuto come “polipo vescicale” colpisce maggiormente il sesso maschile, tra cui è la VII neoplasia più frequente (la diciassettesima tra le donne) Il fumo di tabacco rappresenta il più importante fattore di rischio ma anche alcune attività professionali, specialmente quelle in cui si ha contatto con vernici, possono essere la causa della malattia. I tumori vescicali sono, per la stragrande maggioranza, classificabili come maligni anche se tra di loro è giusto fare una distinzione tra quelli che hanno un comportamento più mite e quelli che invece hanno una spiccata aggressività. Circa il 75% delle neoplasie si presentano come “non muscolo-invasive”, cioè confinate agli strati più superficiali della parete vescicale. Le neoplasie superficiali, quando riconosciute e trattate per tempo, hanno una prognosi favorevole. Quando il tumore “erode” la parete della vescica, infiltrandone lo strato muscolare (il detrusore), la situazione diventa più impegnativa.
Come si manifesta il tumore della vescica?
Il modo più comune con il quale un polipo vescicale dà segni di sé è l’ emissione di sangue con l’urina, la macroematuria. Altre volte il tumore della vescica viene scoperto per caso in corso di ecografia dell’addome che viene eseguita per altri motivi.
Esistono sintomi che possono far sospettare la presenza di un tumore della vescica, soprattutto nei pazienti a rischio (fumatori, verniciatori): aumento della frequenza delle minzioni, urgenza minzionale, bruciore minzionale.
Dopo un episodio di ematuria è consigliabile eseguire un’ecografia addominale, con particolare attenzione all’apparato urinario. Questa indagine può evidenziare spesso la presenza del tumore, soprattutto quando la sua crescita avviene all’interno del lume della vescica.
Se l’ecografia dovesse risultare negativa o comunque non dirimente, il passo successivo è rappresentato dalla cistoscopia, un’esame ambulatoriale che si esegue con uno strumento flessibile (quindi non doloroso) che permette di esaminare la vescica al suo interno
Una volta diagnosticata la presenza del tumore, il paziente si deve sottoporre ad un intervento chirurgico endoscopico, la “resezione endoscopica vescicale” L’operazione avviene senza eseguire tagli sulla pancia, ma operando endoscopicamente passando all’interno della via escretrice. Grazie allo strumento endoscopico, il resettoscopio, è possibile estirpare il tumore “facendolo a fette”. I frammenti del tumore verranno poi inviati per l’analisi istologica. Se l’esame istologico mostrerà la natura superficiale del tumore, la prognosi è sicuramente vantaggiosa, anche se il paziente dovrà periodicamente (almeno ogni sei mesi) sottoporsi ad una cistoscopia di controllo per riconoscere precocemente un’eventuale recidiva della malattia. In alcuni casi è possibile eseguire terapie endovescicali, con farmaci che vengono iniettati periodicamente all’interno della vescica e che hanno la finalità di ridurre la percentuale delle recidive. Se invece l’esame istologico ha evidenziato che il tumore ha interessato in profondità la parete della vescica è necessario procedere con un intervento chirurgico demolitivo, la “cistectomia radicale”, che prevede l’asportazione completa della vescica e della prostata. All’asportazione della vescica, a seconda delle situazioni cliniche, segue una derivazione urinaria, ovvero la necessità di riconvogliare l’urina all’esterno dal momento che non è più presente il serbatoio originale. Nei casi più favorevoli è possibile ricostruire una nuova vescica con un tratto di intestino tenue, la “neovescica ileale”. Questo intervento non modifica l’immagine corporea del paziente, dal momento che è stato ricostruito un serbatoio interno, collegato ai reni attraverso gli ureteri, in grado di contenere l’urina (continenza), e collegato all’uretra per un naturale svuotamento all’esterno. Se le condizioni cliniche controindicano la ricostruzione della vescica, è necessario allora creare una derivazione esterna non continente, la “urostomia”, attraverso la quale l’urina fuoriesce all’esterno e viene raccolta in un sacchetto attaccato all’addome del paziente. All’intervento chirurgico, in determinati casi, può seguire la chemioterapia.